L’inquadramento giuridico dei riders
(Alla luce della vicenda Foodora e dell’accordo del 15 settembre 2020)
E’ recentissimo l’accordo siglato per tutelare le figure dei riders, fattorini addetti alla consegna di cibo a domicilio.
Tale accordo, siglato tra le associazioni dei riders (Deliveroo, Glovo, Just Eat, Uber Eats e Social food) e l’UGL (Unione Generale del Lavoro) prevede:
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la qualificazione dei riders come lavoratori autonomi
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il compenso, il cui minimo sono 7€ orari, con un’indennità del 10%, 15% e 20% per lavoro notturno, festività o maltempo
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inserimento di corsi sulla sicurezza stradale e trasporto degli alimenti, nonchè di coperture Inail per gli eventuali infortuni e polizze per il danno eventualmente causato da/a terzi
Nonostante vi sia stato questo tipo d’accordo, la Corte di Cassazione a gennaio si è dimostrata di tutt’altro avviso, evidenziando ancora una volta la differenza di vedute tra il corpo politico e la magistratura.
La vicenda che ha portato all’emanazione della sent. 1663/2020, ha visto coinvolti 5 ex riders, i quali chiedevano all’azienda Foodora S.r.l. (ora in liquidazione) il ripristino del loro posto di lavoro ed il risarcimento danni a fronte del licenziamento.
Secondo i riders, l’illegittimo licenziamento aveva causato loro sia un danno non patrimoniale, sia un danno ex art. 2087 c.c. Quest’ultimo articolo afferma che:
L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.
Nel giudizio di primo grado il rapporto di lavoro in questione non era stato inquadrato come subordinato per due ragioni:
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non vi era l’obbligo di disponibilità da parte dei riders a rendere la prestazione lavorativa
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non si applicava l’art. 2 del Jobs Act, poichè i tempi e i luoghi di lavoro non erano stati predeterminati dal datore di lavoro (Foodora)
Diversamente, durante il procedimento avanti la Corte d’Appello, si era sottolineata l’esistenza di “un’effettiva integrazione funzionale del lavoratore nella organizzazione produttiva del committente”.
A dire della Corte infatti Foodora organizzava tutti gli aspetti relativi alla prestazione.
Così, l’azienda era stata condannata al pagamento della retribuzione, diretta, indiretta e differita stabilita per i dipendenti del V livello secondo il CCNL logistico di trasporto merci.
A definire la questione in ultima istanza è stata però la Corte di Cassazione, i cui giudici della Sezione lavoro riconoscono un fattore determinante: in linea teorica i riders dovrebbero rappresentare un tertium genus, ossia una sorta di ibridazione tra lavoro autonomo e dipendente.
Ma questa definizione non è sufficiente, poichè i riders vanno meglio qualificati come lavoratori subordinati, ex art. 2 L. 81/2015 del Jobs Act.
Così facendo la Corte raggiunge un preciso intento: applicare una tutela “rafforzata” nei confronti di alcune tipologie di lavoratori – definiti “deboli” dal punto di vista economico, che altrimenti non otterrebbero una ”giusta” tutela.
Questo – per la Cassazione – è il caso dei riders, e dopo aver respinto il ricorso presentato da Foodora ha confermato il dispositivo della sentenza di secondo grado e condannato l’azienda.
I giudici della Corte lasciano però una questione aperta: affermano infatti che sarà cura dei giudici successivi, definire quale tra le tutele tipiche del lavoro subordinato siano “ontologicamente incompatibili” con il lavoro etero-organizzato.