Formazione professionale: i medici specializzandi sono lavoratori subordinati?
La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 18667 del 08.09.2020, ha escluso che l’attività esercitata dai medici specializzandi possa essere inquadrata nell’ambito del rapporto di lavoro.
La Suprema Corte, su ricorso dei medici specializzandi, è stata investita della questione sulla base dell’assunto che l’attività dagli stessi prestata, in relazione all’intensità dell’impegno richiesto, doveva essere inquadrata nello stesso modo dell’attività lavorativa esercitata dal personale medico dipendente della struttura sanitaria.
I ricorrenti invocavano, dunque, il diritto ad un’adeguata retribuzione.
La Corte di legittimità ha respinto il ricorso dei medici escludendo che la loro attività possa essere inquadrata all’interno di un contratto di lavoro autonomo o subordinato.
In particolare, la Corte ha precisato che si è al cospetto:
“di una particolare ipotesi di contratto di formazione-lavoro, oggetto di specifica disciplina, rispetto alla quale non può essere ravvisata una relazione sinallagmatica di scambio tra l’attività prestata dagli specializzandi e la remunerazione prevista dalla legge a favore degli stessi”.
Gli emolumenti, dunque, sono diretti a soddisfare le esigenze materiali dei medici specializzandi in ragione del loro impegno a tempo pieno e non costituiscono il corrispettivo delle prestazioni svolte.
La Corte, allineandosi al proprio precedente orientamento, ha ribadito che le prestazioni svolte dai medici specializzandi:
“non sono rivolte ad un vantaggio dell’Università, ma alla formazione teorica e pratica degli stessi e al conseguimento, a fine corso, di un titolo abilitante”.