BREVI CENNI SULLA VALIDITA’ DELLE FIDEIUSSIONI OMNIBUS.
APPLICAZIONE DELL’ART. 1957 C.C. NELL’AMBITO DELLE PROCEDURE DI CONCORDATO PREVENTIVO ALLA LUCE DELL’ORDINANZA DEL TRIBUNALE DI PADOVA, 11.02.2020
Un tema sempre più oggetto di discussione è sicuramente quello relativo alle fideiussioni omnibus.
La questione verte proprio sul carattere generale (e generico) di queste garanzie, poiché il fideiussore sarebbe chiamato a “coprire” ogni debito contratto dal garantito, anche con riguardo a rapporti futuri.
In altre parole, una garanzia astrattamente illimitata e che, senza dubbio, trova difficile intesa con i principi in materia contrattuale, laddove essi impongono che l’oggetto del contratto debba essere determinato o quanto meno determinabile (articolo 1346 e articolo 1418 Codice Civile).
Negli anni ’90, al fine di dirimere la intricata questione, la giurisprudenza si è cimentata in una serie di pronunce con cui vengono delineati due diversi approcci risolutivi.
Un primo orientamento riteneva necessario che nel contratto di fideiussione omnibus fosse quantomeno specificato il tipo di obbligazioni che – nei limiti dell’importo predeterminato – il fideiussore si obbliga a garantire (Trib. Savona, 11.3.1999).
L’alternativa forma mentis, invece, richiedeva, ai fini della validità, che il massimale della fideiussione avrebbe dovuto essere concordato tra istituto bancario e garante, in proporzione alla normale e prevedibile attività del debitore ed alle sue potenzialità economiche, nonché in conformità ai principi di buona fede e correttezza (in tal senso l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, parere 20.4.2005 n. 14251).
La questione ha poi subito una nuova impennata nel 2002 con l’introduzione delle “Condizioni generali di contratto per fideiussioni bancarie”, ovvero tredici clausole predisposte dall’ABI (Associazione Bancaria Italiana) e dirette a regolamentare la materia delle fideiussioni.
Le stesse, tuttavia, sono state oggetto del Provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005, con cui la Banca d’Italia ha censurato tre di queste tredici clausole, dichiarandole nulle perché “in contrasto con l’articolo 2, comma 2, lettera a) della legge n. 287/90”, con cui si vietano:
“le intese tra le imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza (…)” tant’è che “le intese vietate sono nulle ad ogni effetto” (Art. 2, Legge 287/1990).
In particolare, per quello che ci riguarda in questa sede, il Provvedimento n. 55 riscontra l’invalidità anche della “clausola di deroga” contenuta all’articolo 8 del predetto schema, mediante cui il debitore rinuncia al termine di decadenza disposto in suo favore dall’art. 1957, comma 1, c.c., ai sensi del quale la banca deve agire contro il debitore entro il termine di sei mesi dalla scadenza dell’obbligazione principale.
Ciò nonostante, gli istituti di credito hanno continuato ad inserire nei contratti di fideiussione questo tipo di clausole illecite, tant’è che, nell’ambito delle numerose cause che ne sono derivate, è sorta la necessità di valutare se tale nullità travolgesse la sola clausola ovvero si estendesse all’intero contratto.
Secondo una parte minoritaria della giurisprudenza dalla nullità della clausola deriva, a cascata, anche la nullità dei contratti stipulati in conformità dello schema ABI.
Secondo l’orientamento maggioritario, ex adverso, il rimedio più congruo è quello della nullità parziale e, di conseguenza, trova applicazione l’art. 1419 c.c., ai sensi del quale le singole clausole trasmettono la propria nullità all’intero contratto solo ove risulti che la presenza di queste sia stata determinante per la stipulazione del contratto.
A ciò si aggiunga che, di recente, la questione sulle fideiussioni bancarie omnibus stese sulla base dello schema ABI è stata rimessa alle Sezioni Unite con l’ordinanza interlocutoria n. 11486/2021 della prima Sezione della Cassazione.
In particolare, l’ordinanza evidenzia le criticità delle recenti sentenze del giudice di legittimità, in cui si assisterebbe ad un ingiustificato indebolimento del rapporto tra il contratto di fideiussione e l’intesa conforme allo schema ABI.
In altre parole, la prima sezione critica l’odierna propensione della Suprema Corte a preservare la validità del contratto di fideiussione e, pertanto, ad investire di nullità esclusivamente le singole clausole anti concorrenziali.
Alla luce di un tanto, l’ordinanza interlocutoria n. 11486/2021 demanda alle Sezioni Unite l’onere di fornire risposta ad una serie di interrogativi.
In particolare, con riguardo alla possibilità di ritenere ammissibile o meno una dichiarazione di nullità solo parziale della fideiussione, nonché circa la necessità che giudice di merito indaghi sulla potenziale volontà del fideiussore, dal momento che questa si potrebbe estendere fino a prestare il consenso al rilascio della garanzia in assenza delle clausole invalide, ovvero se, con l’esclusione delle stesse, si realizzi un drastico mutamento dell’assetto degli interessi, tale per cui la nullità si debba necessariamente estendere all’intero contratto di fideiussione.
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In ordine alla tematica trattata, si pone in evidenza una recente ordinanza del Tribunale di Padova del 11 febbraio 2020, con cui si sono delineati i rapporti tra l’art. 1957 c.c. e la procedura di concordato preventivo.
Il Tribunale patavino, dopo un’ampia introduzione al termine decadenziale di sei mesi previsto all’art. 1957 c.c. – entro cui l’istituto di credito deve compiere l’atto richiesto dalla legge per accertare il proprio credito e, così, legittimare l’azione nei confronti del soggetto garante – riconosce che, nel caso di specie, è stata dismessa l’applicazione di detta norma, proprio in conformità a quelle “condizioni generali” previste all’articolo 8 del suddetto schema e che il Provvedimento n. 55 della Banca d’Italia ha riconosciuto come nulle in quanto:
“clausole che hanno determinato un forte sbilanciamento (…) in danno dei garanti di obbligazioni derivanti da contratti di credito stipulati nell’esercizio della loro attività”.
Pertanto, secondo il medesimo organo giudicante si deve considerare disapplicata la clausola illecita, poiché, nel caso di un concordato preventivo, il debito si considera scaduto alla data di presentazione della domanda di concordato e, pertanto, da questa stessa data deve essere computato il termine decadenziale di sei mesi ex art. 1957 c.c. entro cui la banca dovrà compiere l’atto previsto per legge per far valere il proprio credito e così escutere legittimamente il fideiussore.
Il Tribunale di Padova è puntuale nel precisare che per “atto previsto per legge” si debba intendere la proposizione di una domanda giudiziale, quale strumento necessario ai fini della ricognizione del credito. D’altra parte, stesso effetto è attribuito ad un altro atto, la domanda di ammissione al passivo (nel solo caso di procedura fallimentare), mentre sarebbe del tutto irrilevante la mera diffida extragiudiziale.
Alla luce di questo ragionamento, l’organo giudicante riconosce che la mera precisazione del credito da parte della banca in sede di concordato preventivo non ha alcun effetto di sospendere il decorso del termine di decadenza ex art. 1957 c.c. e che, di conseguenza, questa si deve considerare “decaduta dalla possibilità di agire nei confronti degli opponenti in base agli atti fideiussori (…) con conseguente fumus dell’eccezione di decadenza proposta dagli attori.”
Tale pronuncia si allinea con all’orientamento della Suprema Corte, secondo cui “l’ammissione del debitore alla procedura di concordato preventivo non è di ostacolo al verificarsi della decadenza di cui all’art. 1957 c.c., a carico del creditore nei confronti del fideiussore” (Corte di Cassazione, sentenza n. 24427/2008).
La pronuncia del 11 febbraio 2020 segna così una importante novità con riguardo al rapporto intercorrente tra le procedure concordatarie e le fideiussioni omnibus.
Se, invero, l’ammissione al passivo – nel fallimento – costituisce titolo che permette di accedere al pagamento del proprio credito, in quanto accertato in base alle disposizioni del Capo V (art. 52, comma 2, L.F.), lo stesso non si può dire della precisazione del credito che avviene nell’ambito di una procedura di concordato preventivo. In questa sede, infatti, l’ammontare del credito viene, appunto, solo “precisato”, senza essere oggetto di una ulteriore fase di ricognizione giudiziale e, peraltro, si qualifica come un’attività del creditore funzionale solo ai fini del computo delle maggioranze di voto, senza alcun valore né endoprocessuale né esoprocessuale.