Come la scelta di un lavoro part-time incide sulla quantificazione dell’assegno di divorzio
L’assegno divorzile può essere definito come l’obbligo di versamento di una somma di denaro di uno dei due coniugi nei confronti dell’altro, allorquando il coniuge ricevente non abbia i mezzi adeguati per procurarsi denaro autonomamente o non possa facilmente inserirsi nel mondo del lavoro.
Tali ragioni devono essere comprovate in modo oggettivo, tenendo conto delle condizioni economiche degli ex-coniugi e dell’eventuale sproporzione tra i due redditi.
Sul punto, preme rilevare che la Cassazione ha sempre riconosciuto il diritto all’assegno divorzile per l’ex-coniuge, solo e soltanto però quando sono le condizioni in cui questi si trova a permetterlo. Con ordinanza n. 2653/2021 la Corte ha recentemente negato l’assegno divorzile all’ex moglie che l’aveva richiesto, giudicando negativamente ”l’assenza di impegno nella ricerca di un impiego” della stessa, a riprova del fatto che il giudizio sull’assegno divorzile debba dipendere da moltissimi aspetti.
Difatti, il giudizio oggettivo di cui sopra dipende da elementi quali: lo stato di salute e l’età dell’ex-coniuge, nonchè l’eventuale esistenza di una nuova relazione stabile o di altre circostanze (ad es: convivenza, acquisto di un immobile).
Al termine del giudizio di accertamento dell’inadeguatezza o meno dei mezzi economici appartenenti all’ ex coniuge, il giudice quantificherà l’assegno divorzile.
Tale quantificazione, però, deve essere effettuata riservando particolare attenzione alla vita matrimoniale dei coniugi.
A ribadirlo è stata sempre la Cassazione, con ordinanza n. 23318/2021, che è intervenuta a seguito del ricorso di un ex-marito sulla sentenza d’Appello che confermava l’importo dell’assegno divorzile per € 600,00 in favore dell’ex-moglie.
Nel caso di specie, la Corte aveva rilevato che il giudizio sull’importo dell’assegno divorzile doveva prescindere da una scelta operata dall’ex moglie.
Ella difatti aveva scelto di dedicarsi solo alla famiglia durante parte del matrimonio, optando solo successivamente un lavoro part-time, favorendo così la progressione della carriera dell’allora marito ed il suo conseguente arricchimento.
Perciò, in linea puramente teorica e sulla base di quest’aspetto, si potrebbe rilevare una sproporzione tra i redditi degli ex-coniugi che giustifica l’erogazione di un assegno di mantenimento anche di € 600,00.
La Corte di Cassazione però, riflettendo su tale circostanza e sui motivi di doglianza del marito, tra cui la violazione dell’art. 5 della legge sul divorzio n. 898/1970 e l’omesso esame di un fatto decisivo, si è interrogata sull’orientamente giurisprudenziale delle Sezioni Unite n. 18287/2018.
Più specificatamente, nel rivolgersi alla Cassazione il marito sosteneva che la Corte territoriale non avesse tenuto conto di un aspetto fondamentale, ossia che l’ex moglie aveva consciamente scelto di lavorare part-time anziché a tempo pieno.
Elemento spartiacque sembra essere proprio quello della scelta del lavoro della donna che, se ritenuta condivisa potrebbe dirsi orientata al benessere familiare, all’accudimento della comune figlia e alla formazione del patrimonio di tutti i componenti della famiglia.
Questa è stata la tesi sostenuta dalla Corte d’Appello che ha seguito l’orientamento giurisprudenziale sopra menzionato.
Se invece, come sosteneva il marito, tale scelta è stata del tutto autonoma e non condivisa si afferma che la donna ha consciamente scelto di non incrementare le proprie entrate, mantenendo l’effettivo squilibrio tra i patrimoni, pur essendo ora libera dall’impegno di crescere i figli (oramai maggiorenni).