LA PROVOCAZIONE E LA DIFFAMAZIONE A MEZZO SOCIAL

Segnaliamo il recente intervento della Corte di Cassazione che, con sentenza n. 8898 del 2021, è tornata a parlare di diffamazione a mezzo social.

Il fatto oggetto di pronuncia, da parte della Suprema Corte, ha riguardato le offese che due soggetti avevano messo per iscritto sui social ed indirizzato ad un ciclista professionista, la cui ‘’colpa’’ era quella di non aver partecipato ad una gara.

In particolare, secondo gli imputati il ciclista avrebbe tenuto una serie di comportamenti poco professionali, che avrebbero ‘’provocato’‘ l’ira di quest’ultimi.

La provocazione è descritta dall’art. 599 c.p. e viene considerata una causa di non punibilità, per cui non è punibile colui che pone in essere atti diffamatori, ai sensi dell’art. 595 c.p., in preda ad uno stato d’ira causato da un “fatto ingiusto” altrui.

Invero, l’esistenza, in questo senso, di una “reciprocità di offese” deve essere provata in modo chiaro, alla luce soprattutto del rapporto di interdipendenza tra le due condotte indicate nell’art. 599 c.p..

Sotto questo profilo la Suprema Corte ha chiarito che per “scriminare” la condotta del presunto diffamatore non basta la mera percezione soggettiva del comportamento “provocatorio” che quest’ultimo avrebbe avuto, ma deve sussistere invece una condotta oggettivamente ingiusta.

Avendo accuratamente valutato i fatti, la Corte ha ritenuto che il comportamento della persona offesa non potesse dirsi ‘’oggettivamente provocatorio od ingiusto tanto da fondare uno stato d’ira altrui’’.

In tale occasione la Corte ha chiarito altresì i dubbi tutt’ora esistenti quando si parla della relazione tra delitto di diffamazione e diritto di critica, in quanto in alcuni casi (ovvero in presenza e nel rispetto dei canoni di veridicità, pertinenza e continenza espressiva) il diritto di critica funge da scriminante rispetto al reato di diffamazione, ai sensi dell’art. 51 c.p.

Sul punto la Corte ha evidenziato il ruolo fondamentale che gioca il contesto comunicativo all’interno del quale sono state poste in essere le affermazioni oggetto di discussione (diffamazione o critica).

Difatti, secondo la Corte, qualora si volesse considerare il fatto contestato agli imputati come “esercizio del diritto di critica”, si dovrebbe considerare come ‘’contesto comunicativo’’ quello dei social network – ovvero:

un area di discussione dove tutti gli utenti sono liberi di esprimere il proprio pensiero, rendendolo visionabile agli altri soggetti autorizzati ad accedervi, attivando così un confronto libero di idee in una piazza virtuale’’.

In questo senso pertanto la Corte ha escluso che, nel caso di specie, le affermazioni divulgate nei social dagli imputati potessero integrare un’ipotesi di legittimo esercizio del diritto di critica, e ciò in quanto quest’ultimi avrebbero dovuto semmai segnalare tale comportamento a chi di dovere (più precisamente: al Coni o agli organi di giustizia sportiva), e non – al contrario – diffondere le loro opinioni in un contesto comunicativo totalmente avulso dall’ambito sociale in cui si sono generati i fatti (in questo caso, il settore sportivo).

Infatti gli imputati qualora avessero indirizzato i propri malumori agli organi competenti, al posto di offendere pubblicamente il ciclista, avrebbero esercitato correttamente il proprio diritto di critica, con valore scriminante ai sensi dell’art. 51 c.p.

LA PROVOCAZIONE E LA DIFFAMAZIONE A MEZZO SOCIAL
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