Tribunale di Milano: sì alla esdebitazione per il nullatenente indebitato
Un tema che oggi giorno è sempre più di attualità, soprattutto in ragione delle difficoltà economico-finanziarie che molte imprese stanno attraversando, è quello dell’indebitamento e, di conseguenza, degli strumenti per superare lo stato di crisi.
Novità importanti peraltro verranno introdotte con il nuovo Codice della Crisi d’Impresa (D.Lgs. n. 14/2019), in vigore dal 1 settembre 2021, con cui verrà modificato l’intero assetto della (ormai ex) Legge Fallimentare, prevedendo un sistema interamente approntato alla prevenzione della crisi e alla protezione della posizione creditoria.
D’altro lato, non si possono di certo ignorare i risvolti che questo modus operandi sta determinando con riguardo all’indebitamento della persona fisica.
Dal momento che il singolo non è in grado di far fronte all’esposizione debitoria, infatti, egli potrà richiedere l’accesso alla procedura di esdebitazione dinanzi all’OCC (Organo per la composizione della crisi da sovraindebitamento).
L’esdebitazione è appunto un meccanismo che consente al privato cittadino e al piccolo imprenditore (in sostanza, ai soggetti non fallibili) di proporre ai creditori un piano di rientro per cancellare i propri debiti.
Una volta avuto accesso alla procedura, la ristrutturazione del debito potrà avvenire in qualunque forma, come, ad esempio, attraverso la sottoscrizione di uno o più “garanti”, la cessione di crediti futuri o la liquidazione del proprio patrimonio.
In merito, si rileva una recentissima pronuncia del Tribunale di Milano, il quale, con il decreto dell’8 giugno 2021, concede l’accesso alla procedura di esdebitazione anche per il privato cittadino che risulti nullatenente.
Il giudice di merito, del resto, non ha fatto altro che dare concreta applicazione alle modifiche introdotte dal D.L. 137/2020 alla Legge 27 gennaio 2012, con cui viene introdotta l’esdebitazione dell’incapiente.
Tanto è vero che la norma, all’art. 14-quaterdecies, comma 1, recita:
“il debitore persona fisica meritevole, che non sia in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, diretta o indiretta, nemmeno in prospettiva futura, può accedere all’esdebitazione solo per una volta, fatto salvo l’obbligo di pagamento del debito entro quattro anni dal decreto del giudice nel caso in cui sopravvengano utilità rilevanti che consentano il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore al 10 per cento.”
Nel caso di specie, il debitore aveva proposto la soddisfazione parziale dei creditori attraverso una piccola somma, ottenuta in prestito dalla compagna (a sua volta in condizioni economiche precarie) e, d’altra parte, le cause della crisi erano da rinvenirsi in una serie di contratti stipulati per aiutare il compagno della madre, coinvolto in fatti illeciti a cui peraltro il debitore non aveva mai preso parte.
Alla luce di un tanto, il giudice concedeva l’esdebitazione del nullatenente, ritenuto “meritevole” in considerazione delle ragioni e delle circostanze che avevano concorso ad un indebitamento di tal portata.
É evidente allora che l’organo giudicante, nel concedere l’accesso alla procedura, sia stato chiamato ad una attenta valutazione discrezionale della situazione complessiva dell’indebitato, delle cause dell’indebitamento, del fatto che non risulta titolare di beni aggredibili dai creditori.
In altre parole, la norma riversa sul giudice l’onere di accertare la “meritevolezza” del debitore nell’accedere ad uno strumento – nei fatti, “premiale” – come quello dell’art. 14-quaterdecies, comma 1.
D’altra parte, è necessario precisare un ulteriore aspetto fondamentale della disciplina applicata.
Tanto è vero che l’effetto della esdebitazione è la cancellazione dei debiti, quanto è vero che presupposto per la concessione del provvedimento è l’incapacità, anche futura, del debitore di provvedere al soddisfacimento della pretesa creditoria.
E allora, proprio perché non è possibile conoscere a monte la persistenza o meno dello stato di incapienza del debitore dopo la conclusione della procedura, il Legislatore intende tutelare i creditori prevedendo che, per i 4 anni successivi, il debitore dovrà redigere una relazione circa l’eventuale sopravvenienza di beni che possano essere aggrediti dai creditori e soddisfare almeno il 10% dei loro diritti.
Si tratta per l’appunto di una chiosa alla norma, che permette di tutelare – se non altro in via potenziale – entrambe le parti del rapporto.